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Marco Kastner
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Giovanna Gastel ... una vita per la cultura e l'insegnamento


Chi è Annamaria Barreca?

Annamaria Barreca nasce a Reggio Calabria nel 1947 e sin da giovane ha cominciato a scrivere poesie. Dagli anni 2000 si è dedicata anche alla narrativa, scrivendo racconti e romanzi. Ha svolto e svolge attività di critico e saggista.

Ha tenuto conferenze e Lectio Magistralis presso il palazzo della regione e presso l’Università per gli Stranieri di Reggio Calabria. Oggi vive a Milano. Ha collaborato e collabora con alcune riviste letterarie: “La Procellaria”, RC, “Calabria Sconosciuta”, RC, “La Nuova Tribuna Letteraria”, Abano Terme, PD, “Periferia”, CS, “Il Bollettino”, RC, “Il Corriere di Reggio“, RC, “Lettere Meridiane”, RC, “La Gazzetta di Baruccana”, Seveso, MB.


Ha partecipato, e vinto, ai concorsi:

Premio Internazionale “Rhegium Julii” (RC), 1991; Premio Nazionale “Donna e scrittura” (CS), 1992.

Premio Nazionale “Nuove Scrittrici” (PE), 1994.

Premio Nazionale di Poesia “Palazzo Grosso”, Riva di Chieri (TO), 2000.

Premio Nazionale “Histonium”, Vasto (PE), 2003, 2004, 2005.

Premio Nazionale “Belmoro” (RC), 2004, 2005.

Premio Nazionale “Il Golfo”, (SP), 2005.

Concorso di narrativa e poesia “Franco Bargagna” Pontedera, (PI), 2005.

Premio Internazionale “Cultura di ieri e di oggi” (RC), 2004.

Premio Letterario Nazionale “Rhegium Julii” (RC), 2009.

Premio Letterario Nazionale “Scriveredonna” (PE), 2009. Premio Nazionale “

Belmoro”,  (RC) 2010.


Dal 2011 ha deciso di non partecipare più ad alcun premio letterario.

Nel Luglio del 2015, il Comune di Bresso, le ha conferito la targa “Calabria's Days”; nel marzo 2017 il Circolo Culturale Anassilaos le ha conferito il Premio Mimosa, alla carriera. 


Diamo il benvenuto sin questo spazio web a Annamaria Barreca da Milano:

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Dal racconto "Una donna" tratto dal testo "L'assoluzione - Cinque storie"

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“Quanti anni ho?… Trent’anni sono pochi e troppi per la vita che ho condotto finora. Perché l’ho fatto? Nessuno mi ha costretta. Perché il mio passato mi sfugge, come se io non lo avessi mai vissuto, chi sono io? Qual è il mio vero nome? Dove sono nata? E la mia famiglia, chissà se ne ho una e se mi hanno cercata…”.

Una ridda di pensieri caotici mi piovvero addosso. Quando ricevevo i miei clienti non avevo tempo per pensare, dovevo essere amabile e sorridente. Quello che avevo dentro lo celavo in un forziere ben chiuso. Mi nascondevo dietro la lunga chioma ramata, dietro il sorriso algido, le lunghe gambe e gli abiti raffinati: erano paraventi eccezionali! Nessuno incontrandomi per strada avrebbe potuto sospettare che fossi una puttana, troppo di classe a cominciare dallo Chanel n.5.  

   Ero stanca, stanca dei sorrisi falsi, delle carezze prive di emozione, dei baci rifiutati. Solo Lui mi aveva fatto sentire una donna amata.

   Ecco che tornava a farsi avanti. Mi ero detta Basta! Doveva determinarmi seriamente ad allontanare il pensiero da quell’uomo, che era riuscito a farmi provare un sentimento profondo

e straziante. Perché avevo deciso di fare quella vita? Ricordai l’uscita dall’ospedale dopo il brutto incidente. Le dimissioni tra le mani, avevo letto: Amnesia Retrograda. Ed infatti, non ricordavo alcunché. Mi ero recata alla Stazione dei Carabinieri per avere notizie su quanto mi era accaduto. Nonostante l’appello nei notiziari regionali nessuno mi aveva cercata, era come se non fossi mai esistita. Avanzavo senza meta, col viso in lacrime e senza speranza. Le luci della città mi accolsero, il tramonto stava lasciando il posto alla notte. Presi a camminare sullo stradone, quando una macchina mi si affiancò. Sobbalzai alla frenata e mi volsi verso il conducente: un uomo non più giovane, dall’aspetto rassicurante, che mi chiese:

   “Quanto vuoi?”

Stupita dapprima e dopo indignata, stavo per rispondergli in malo modo, ma mi trattenni pensando: “Dove vado stanotte, non ho soldi, non conosco nessuno qui”. Mi aveva scambiata per una puttana, bene, avrei fatto la puttana, così gli rispose:

   “200 euro”. Sapevo che era una cifra altissima,

ma dovevo vendermi bene: ero giovane e bella, i 200 euro erano meritati! L’uomo non obiettò anzi aggiunse:

   “Per questa cifra mi spettano almeno due ore ed in albergo. Non temere, lo pago io”. Una volta in macchina continuò a parlarmi:

   “Si vede che sei forestiera e disorientata, perciò ti ho proposto un albergo. Io sono un cliente abituale e bazzico lo stradone da tanto e non ho mai visto una bellezza come la tua. Stai tranquilla, non ti farò del male”.

   Attraversammo la città e ci fermarono all’Hotel Destiny.

   “Destiny, stanotte si profila il mio destino, a quanto pare”, mi dissi e seguii l’uomo che si era avviato alla Reception. Era alto e magro, vestito bene. Alla luce dei lampadari vidi che aveva un viso non bello, ma simpatico e solare. Con un sorriso mi accompagnò alla scala che ci avrebbe condotti al primo piano, stanza 119. Ero svuotata e triste, non riuscivo a sorridere a quel signore educato e gentile.

   “Devo cercare di essere garbata anch’io, questi 200 euro mi servono per cercare di sopravvivere qualche giorno” pensai.

   Entrammo nella stanza, pulita e profumata e Omar, questo il nome dell’uomo, mi disse:

   “Se vuoi andare in bagno a rinfrescarti fallo. Io ti aspetto qui”.

   Mi diressi verso la stanza da bagno con lo spirito dell’agnello che sa di essere sacrificato. Lo specchio rifletteva l’immagine di due laghi azzurri, senza speranza. “Mi devo riscuotere”, assunsi una postura più eretta, sciacquai il viso, misi un po’ di acqua di colonia contenuta in una boccetta sulla mensola: aveva un gradevole e sottile profumo di gelsomino, sensuale e poco invadente. Lavai i denti e, indossato il mio sorriso migliore, uscii dirigendomi verso l’uomo.............................................



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Dalla raccolta "Vi racconto"

Nota introduttiva

   Questo libro rappresenta una raccolta di tutto il lavoro da me svolto, in qualità di critico letterario e saggista, dal lontano 1992 ad oggi. Come un comune brogliaccio raccoglie impressioni, emozioni da me provate in qualità di lettore di opere diverse, a me presentate dagli ideatori e redattori di riviste letterarie italiane, quali: “La Procellaria” del Prof. Francesco Fiumara; “Calabria Sconosciuta” di Giuseppe Polimeni; “La Nuova Tribuna Letteraria” di Giacomo Luzzagni e la “Gazzetta di Baruccana” di Marco Berto.

Pertanto si potranno leggere saggi brevi e recensioni critiche, relative ai testi da me commentati. Non solo. La mia attività mi ha vista impegnata anche dal lato delle prefazioni e presentazioni di numerosi testi che mi sono stati sottoposti e dei quali mi sono occupata di buon grado.

   Un lavoro affascinante per me, che nasco poeta ed in seguito mi affaccio alla narrativa. Leggere è penetrare la mente e l’anima dello scrittore, sia esso poeta o narratore. È entrare in empatia con la parola che è in grado di suscitare inenarrabili sensazioni, nel bene e nel male.

   Come un vascello che non conosce approdo, la parola sfida venti e correnti e con essi intesse relazioni profonde ed a volte oscure. Essa vibra di una propria armonia che sfugge ad un orecchio poco attento, è permeata di luce e d’ombra e, come in un gioco alchemico misterioso, conduce sia lo scrittore che il lettore in mondi nuovi, tutti da esplorare. La parola è liberazione e dannazione, leggerezza ed ossessione, vita per chi crede in lei. Questa raccolta, quindi, è la summa del mio impegno preso con altri autori, dei quali ho cercato di cogliere l’essenza più intima. Un modo atipico di intrecciare legami con persone, più o meno conosciute, delle quali, dopo avere chiuso il libro appena letto, si ha l’impressione di essere venuti a contatto con una parte profonda della loro essenza.

   Tutti gli scritti sono trascritti in ordine cronologico inverso a partire dal più recente e andando a ritroso nel tempo.

Esergo


L’Italia è il paese di “santi,

poeti e navigatori”, così si dice.

Poco interessata alla santità, vi parlerò di

poeti e navigatori, giacché i poeti

rappresentano i navigatori dello spirito

e i fustigatori del costume di un popolo.


Annamaria Barreca


Risvolti umani di una vita disumana


   Quando ci incontrammo io e Lorenzo Calogero? La mia mano corse a lui dapprima cautamente, poi impaziente di sapere, rovistare, dentro la sua giacca, dentro i pantaloni, dentro il cassetto semichiuso di quel tavolino di legno vecchio che puzzava di stantio e che racchiudeva i segreti più inconfessabili, dentro la sua cassa toracica, dentro la sua testa. Proprio in quest’ultima la mia determinazione a sapere vacillò. Non riuscivo a cogliere alcun nesso logico, rincorrevo pensieri consumati, erosi, dall’inconfessabile certezza della sua diversità.

   Lorenzo era unico, enormemente unico nella sua smania di proporsi, di accattivare anche solo l’attenzione di quei grandi nomi: Einaudi, Vallecchi, Betocchi ed il suo cervello ruminava la voglia di dire quanto egli fosse bravo, quanto egli studiasse, quanto egli scrivesse. Migliaia di versi, tragici, al confine con la normalità, sicuri di una bellezza insopprimibile, non riconosciuta.

   Lorenzo era ed è, adesso lo sa, il mio “caso letterario” più affascinante e non mi riferisco al suo aspetto fisico perché Mamma Natura si era in parte divertita con lui: il capo appena storto a destra, le mani piccole, grassocce, madide di un madore nervoso che gli faceva tenere sempre a portata di mano un fazzoletto cincischiato, maleodorante; gli occhi miopi sotto le spesse lenti, il corpo tozzo e lievemente pingue, le labbra atteggiate ad una smorfia. Di normale aveva solo il naso.

   In che cosa risiede, allora, il fascino di quest’ometto non proprio ideale? Nel cervello, potrebbe dire qualcuno, se non fosse che per me il cervello è solo un ammasso di tessuti mollicci attraversati da un’energia spaventosa. Si potrebbe opinare allora per il suo cuore, un muscolo pulsante ad un ritmo vertiginoso, tenuto a bada da sedativi compassionevoli. La mente, l’anima, lo spirito: questa la sede del suo mistero e del suo fascino. Una mente divisa tra reale ed immaginario al punto da confonderlo, una mente capace di produrre versi a velocità incontrollabile, schizofrenica ed angosciata, ma fertile in modo ossessivo, rapace delle sue stesse emozioni che venivano snaturate, ridotte, a volte in versicoli subito ripudiati… Quei versicoli erano il marchio della sua impotenza, non gli bastava dirsi: “Lorenzo è umano”. Egli rifiutava la sua umanità: era Lorenzo Calogero per Dio! No, nemmeno questo poteva dirsi, perché Dio lo avrebbe castigato, come soleva ripetergli la madre, e lo avrebbe dannato in eterno.

   Doveva subire: subire se stesso, la sua incapacità di affrontare le difficoltà, la sua natura ipocondriaca che lo portava ad isolarsi, a comunicare in modo frammentato, atterrito da tutto e da tutti. Eppure avrebbe voluto gridare al mondo intero la sua gioia di essere vivo, la sua fierezza di essere calabrese, quando essere calabresi era scomodo e difficile ( ben lo sapeva Franco Costabile ), avrebbe voluto vivere l’ebbrezza di un incontro d’amore, la passione repressa, sopita dalla paura di un ennesimo fallimento che gli avrebbe torto l’anima sino all’ultima goccia di umori. Quella sua anima mistica e carnale ad un tempo, capace di condurlo oltre l’umano, in una dimensione irreale e surreale nota solo ad intelletti geniali consci di ciò.  Lorenzo non aveva una grande stima di sé come uomo, sapeva benissimo, invece, di essere unico nell’arte di poetare, per cui viveva una vita divisa che alitava bagliori crepuscolari, albe fantastiche, cuori di donne innamorate, in attesa, emorroidi infiammate, una tosse stizzosa, da tisico, una fiacchezza ancestrale, la pelle arrossata da macchie eritematose, pruriginose.

   Lorenzo viveva fuori e dentro di se con paranoica rassegnazione, con rabbia celata che lo faceva atteggiare a vittima per stimolare la compassione.

   La compassione… se solo fosse riuscito a stimolarla veramente! La sua pateticità dignitosa non bastava. Le donne, dopo qualche tempo, lo allontanavano: quel suo compiangersi urtava la necessità di ognuna di loro che avrebbe voluto trovare nel proprio compagno un sostegno, una protezione, una spalla su cui piangere, una presenza cui affidarsi. Ma questa era la stessa necessità avvertita da Lorenzo: il sostegno, la protezione, la spalla su cui piangere, la presenza affidabile. Tutto allora si scompaginava rendendolo ancora più fragile ed inerme.

   Erano altri tempi Lorenzo: se solo tu avessi spostato in avanti il tuo arrivo su questo pianeta. Sarebbero bastati cinquant’anni, non ti saresti scontrato con quella realtà, avresti vissuto le donne di oggi che cercano proprio quello che cercavi tu: un compagno un figlio da poter governare, strapazzare al bisogno, coccolare, abbandonare per qualche tempo salvo poi ripescare con rinnovato entusiasmo.

   Le tue donne erano le donne antiche legate al proprio ruolo, al proprio destino, talvolta condiviso, più spesso subito ed in quella realtà tu stridevi.

   “Sono stanco, stanco di sentirmi rivoltare come un portafoglio consunto e vuoto”. Stanco di sentirti parlare addosso, vorresti tornare nell’ombra che ti sei cercato, in quel silenzio beato, le tue voci lontane.

   In verità Lorenzo, ancora non hai abbandonato la tua natura! Volevi la fama, l’hai avuta, hai avuto i riconoscimenti dovuti alla tua poesia, letterati e critici si sono, infine, occupati di te e se ne stanno ancora occupando: Milano, Roma, Firenze, ti tributano il piacere

di annoverarti tra i grandi della letteratura italiana. “È troppo tardi”. No! Non è mai tardi per chi, come te vive e muore della sua arte. Non è mai tardi, a meno che tu non voglia riferirti alla tua natura umana, quella natura che ancora adesso non hai accettato. Ti vedo raggomitolato su te stesso, quasi contorto, percepisco l’alitare della tua insoddisfazione post-mortem, del tuo rantolare sterile, lontano da quel mondo tanto amato ed odiato e mi rendo conto che nulla è successo a caso: te ne sei andato quando io ero incapace di cogliere i bagliori della tua arte, sei ritornato adesso che la mia anima ed il mio cuore sono aperti al tuo messaggio, zufolato tra le note delle tue parole, delle tue illusioni. “Ma, vedi, sono costretto /anch’io / e ai piedi, umile, è una tomba / e quando spira vento autunnale / sono vento anch’io”.

                                                                                             

Saggio breve inedito. Le frasi riportate sono l’immaginario dialogo tra il poeta e me. I versi in chiusura sono tratti da una poesia di Lorenzo Calogero che fa parte de “I quaderni di Villa Nuccia”- XVI – 1959/60





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Riflessione tratta dal libro 

"Pensieri controvento in cerca di cervelli

in cui sostare".

142

Il mondo è per pochi uomini liberi. La libertà vera intimidisce, intimorisce. Vivere sotto la protezione di una bandiera – sia essa Dio, un qualsivoglia credo politico sino ad arrivare al becero profitto – rassicura, si è certi di non essere soli, per cui ci si sente più forti. La libertà, quella vera, è per pochi coraggiosi, che non hanno timore della solitudine, che rivendicano il diritto alla parola libera anche se scomoda e inquietante. Il mondo odierno tende a ghettizzare gli uomini liberi, perché sfuggono al controllo, così li demonizza e, se gli è dato, li neutralizza. Il mondo ambisce a un esercito di pseudo-lobotomizzati. Il mondo... che poi sono i potenti di ogni latitudine, veri scempi sotto il riflettore, vogliosi impotenti nascosti dietro maschere siliconate.

"Il taccuino della signora"

Una raccolta che nasce come taccuino e registra, giorno dopo giorno, le sensazioni dell'autrice. 

La data iniziale del taccuino è il 26 dicembre del 2020, l'ultimo componimento, invece, risale al 30 settembre del 2021. Nove mesi, una vera e propria gestazione, del periodo Covid.


16 aprile 2021

Qui dove la bellezza impera

colgo tracce di sentimenti

fruscii di essenze

La vita esige oltre la morte

il bisogno di esistere

Aromi delicati

candide mousse

mani sapienti

colori che ingannano il tempo

La fabbrica dell'effimero

miete vittime giornaliere

e regala attimi d'illusione

25 aprile 2021

Fragile essenza

delle mie certezze

si affianca al passo incerto

e al verbo scarno

Tutto s'adombra e

il ricordare sfianca

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da 

"Pensieri controvento..."


145

L’utopia d’un mondo nuovo, la ricerca dell’Eden, come condizione futuribile, non è poi così lontana. Il paradiso terrestre è qualcosa che appartiene a questo mondo. Infiniti universi, che ognuno di noi conserva gelosamente, attendono di essere rivelati a coloro che non ne sono coscienti. È necessario tornare a cercare l’uomo vecchio, che alberga in ogni essere umano e sostituirlo con l’uomo nuovo, che non necessariamente deve essere agli antipodi. Il cammino è lungo e gravoso. Spesso dolente, porta a vivere una condizione sospesa tra più verità, più opportunità, più scelte. Noi siamo i responsabili della nostra esistenza, l’istituto delle deleghe prima o poi presenta il rendiconto.

dal volume 

"Il taccuino della signora"

tratta dalla raccolta

"Un ombrello pieno di pioggia"

20 aprile 2021

Sorseggio attimi di vita

lieta di poterli saggiare

Il giorno si dipana

come matassa maculata

Il colore rasserena la mente

al suono di musiche

angeliche

La sera è presto giunta

il corpo stanco si prepara

al riposo notturno

mentre vagheggia il sogno

24 aprile 2021

Filamenti d’idee

compongono un

pentagramma

che fatica ad

essere compreso

Gli strumenti usurati

dal tempo e dalla noia

s’avvitano su se stessi

Sculture atipiche

in cerca di sostegni

Ho bisogno di nuvole

di fonti chiare

di risa di bimbi

Il respiro corto si espande

Sono nata dall'acqua

nella terra della Fata Morgana

il sole ha salutato il mio vagito

e con me quello dei miei fratelli

Ho respirato la salsedine

e l'eucalipto

ho percorso i sentieri

dell'Aspromonte

boschivi e scoscesi

mi sono fatta fiume

copioso

irruente

infido

Sono scesa a valle

nelle fiumare aride e pietrose

le ho irrorate col mio seme

cercando la mia strada

il mio mare

La mia è una foce ad estuario

che dà vita ai canneti

Mi sono tinta di bianca rena

ho lisciato i fianchi

di barche voluttuose

arenate al sole di marzo

sino ad annegare

nelle salse acque ionie

che hanno stemperato

la mia dolcezza

Ma nulla è per sempre...

Un carretto

il mio mondo con esso

nuove strade da percorrere

nuove stazioni da raggiungere

Oggi respiro brezze alpine

mordo neve e nebbia

mentre la penna racconta di me

di noi

vecchia razza in estinzione

ancora legata a un vagito

a un sorriso a un saluto

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tratta dall'antologia 

"Gli anni immobili"

tratta dall'antologia

"Gli anni immobili"

Riprende quota

l'aquilone dissennato.

Ora incalza e sibila il vento.

Umano il lamento

apre chiude battenti.

Rimbalzano risposte oniriche:

un dritto un rovescio

nell'oscura partita avanza

in linea retta il cavallo

allunga le redini l'alfiere

è presto raggiunta la torre.

Carezza mura moleste

la scala serpiginosa.

Stanca di fare paura

fantasma mi rifugio...

Neonato il sole gioca tra

merli sdentati.

Memorie

Pagine già lette

di vecchie confuse storie.

Ciabatte lasciate

s'un tappeto di logora pelle.

***

Donna a metà

Conflittualmente divisa

più volte avrei voluto rinascere

eppure questa mia poesia

cade nella contraddizione

nell'ambiguità.

Mi rileggo nelle note

romantiche sentimentali

di fattezze femminee

e mi rinnego

per la mancanza di forza

di virilità

per il mio essere donna a metà.

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tratta dal libro

"Le quattro madri"

tratta dall'antologia

"Gli anni immobili"

Non lo spaventava morire, sapeva che sarebbe ritornato alla casa del Padre, tuttavia la vita lo teneva ancora stretto a sé attraverso il flusso dei ricordi che lo attraversava quotidianamente, facendogli rivivere momenti drammatici che credeva rimossi.

 Il mese di dicembre era giunto, con un altro inverno freddo ed umido. Era il mese che amava di più perché l’otto era nata la Madonnina a cui era legato profondamente. Maria era la sua invocazione costante…

   Quante madri aveva incontrato nella sua vita pastorale?

  Quante ne aveva confessate? Forse migliaia…

  Perché allora nella sua mente ritornavano quattro figure che lo avevano turbato e delle quali avrebbe avuto sempre un ricordo vivido: ”le quattro Marie”, così le aveva battezzate dentro di sé.

  Erano donne che aveva confessato in punto di morte, quattro vite emblematiche che avevano arricchito la sua missione e la sua umanità. Quando e dove aveva conosciuto la prima?

  La stanchezza aveva, talvolta, il sopravvento sulla sua mente, che invece voleva andare a ritroso per riappropriarsi ancora di vita, di quella vita che adesso gli era sottratta dalla malattia. I ricordi erano medicina spirituale e le sue “ sorelle”, vero e proprio alimento per l’anima.


edito da Laruffa ed oggi disponibile in versione ebook su tutti i più noti book stores online

I

Costruì il suo castello

senza torrione nè ponte levatoio.

Nelle notti di plenilunio

l'orda di locuste feroce

s'abbattè, tutto devastando.

Mercenari guadarono lo stagno

difeso da caimani assonnati,

pietra dopo pietra

il maniero rovinò.

Divenuto sparviero colse

cirri fumanti

urlò e la vallata s'empì del suo

stridore che piovve sul borgo

poi l'ali spiegate

si tuffò nel sole dissolvendosi.

II

Lasciò cadere il cielo

un cinereo pulviscolo

qualche fiocco di piume sulla

madia ove con allegra imperizia

la garzoncella sfaccendava.

S'intenerì al lieve tocco

colse nel pugno i bioccoli

v'alitò...

Ricomposte l'ali il rapace

turbinò gioioso infine fu tremore.

Franto sulla volta cristallina

fu inghiottito dal fondovalle.

Le braccia al petto

la garzoncella osservò senza

apprensione

il corpo mutilato dell'uccello.

III

Giacque, occhi vitrei all'azzurro.

Mani dolenti sollevarono

piume scomposte

insieme trascesero l'umano...

Flautò femmina viziosa

il suo nome

cadde nel vuoto il richiamo.



dal volume 

"Il taccuino della signora"


14 maggio 2021

Cieli grigi attraversati

da carovane di nubi cangevoli

nei colori e nelle forme

Quattordici maggio

i rondoni hanno preso

a nidificare

tra le anse dei grattacieli

Il bosco verticale verdeggia

su giovani gerani

dai colori variegati

L’inverno ha ceduto

il passo malcerto ad

una primavera incarcerata

da anticicloni bizzarri

Prima o poi arriverà l’estate

con la sua ostentata

spudoratezza  

e la disinibita voglia d’amare

tra la barche sonnolenti

sulla risacca che lambisce la rena

abbandonati ai flutti complici

Le sere interminabili

vedranno sorgere l’aurora

mentre labbra sapide

si disseteranno ad un ultimo bacio