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Chi è Annamaria Barreca?
Annamaria Barreca nasce a Reggio Calabria nel 1947 e sin da giovane ha cominciato a scrivere poesie. Dagli anni 2000 si è dedicata anche alla narrativa, scrivendo racconti e romanzi. Ha svolto e svolge attività di critico e saggista.
Ha tenuto conferenze e Lectio Magistralis presso il palazzo della regione e presso l’Università per gli Stranieri di Reggio Calabria. Oggi vive a Milano. Ha collaborato e collabora con alcune riviste letterarie: “La Procellaria”, RC, “Calabria Sconosciuta”, RC, “La Nuova Tribuna Letteraria”, Abano Terme, PD, “Periferia”, CS, “Il Bollettino”, RC, “Il Corriere di Reggio“, RC, “Lettere Meridiane”, RC, “La Gazzetta di Baruccana”, Seveso, MB.
Ha partecipato, e vinto, ai concorsi:
Premio Internazionale “Rhegium Julii” (RC), 1991; Premio Nazionale “Donna e scrittura” (CS), 1992.
Premio Nazionale “Nuove Scrittrici” (PE), 1994.
Premio Nazionale di Poesia “Palazzo Grosso”, Riva di Chieri (TO), 2000.
Premio Nazionale “Histonium”, Vasto (PE), 2003, 2004, 2005.
Premio Nazionale “Belmoro” (RC), 2004, 2005.
Premio Nazionale “Il Golfo”, (SP), 2005.
Concorso di narrativa e poesia “Franco Bargagna” Pontedera, (PI), 2005.
Premio Internazionale “Cultura di ieri e di oggi” (RC), 2004.
Premio Letterario Nazionale “Rhegium Julii” (RC), 2009.
Premio Letterario Nazionale “Scriveredonna” (PE), 2009. Premio Nazionale “
Belmoro”, (RC) 2010.
Dal 2011 ha deciso di non partecipare più ad alcun premio letterario.
Nel Luglio del 2015, il Comune di Bresso, le ha conferito la targa “Calabria's Days”; nel marzo 2017 il Circolo Culturale Anassilaos le ha conferito il Premio Mimosa, alla carriera.
Diamo il benvenuto sin questo spazio web a Annamaria Barreca da Milano:
Dal racconto "Una donna" tratto dal testo "L'assoluzione - Cinque storie"
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“Quanti anni ho?… Trent’anni sono pochi e troppi per la vita che ho condotto finora. Perché l’ho fatto? Nessuno mi ha costretta. Perché il mio passato mi sfugge, come se io non lo avessi mai vissuto, chi sono io? Qual è il mio vero nome? Dove sono nata? E la mia famiglia, chissà se ne ho una e se mi hanno cercata…”.
Una ridda di pensieri caotici mi piovvero addosso. Quando ricevevo i miei clienti non avevo tempo per pensare, dovevo essere amabile e sorridente. Quello che avevo dentro lo celavo in un forziere ben chiuso. Mi nascondevo dietro la lunga chioma ramata, dietro il sorriso algido, le lunghe gambe e gli abiti raffinati: erano paraventi eccezionali! Nessuno incontrandomi per strada avrebbe potuto sospettare che fossi una puttana, troppo di classe a cominciare dallo Chanel n.5.
Ero stanca, stanca dei sorrisi falsi, delle carezze prive di emozione, dei baci rifiutati. Solo Lui mi aveva fatto sentire una donna amata.
Ecco che tornava a farsi avanti. Mi ero detta Basta! Doveva determinarmi seriamente ad allontanare il pensiero da quell’uomo, che era riuscito a farmi provare un sentimento profondo
e straziante. Perché avevo deciso di fare quella vita? Ricordai l’uscita dall’ospedale dopo il brutto incidente. Le dimissioni tra le mani, avevo letto: Amnesia Retrograda. Ed infatti, non ricordavo alcunché. Mi ero recata alla Stazione dei Carabinieri per avere notizie su quanto mi era accaduto. Nonostante l’appello nei notiziari regionali nessuno mi aveva cercata, era come se non fossi mai esistita. Avanzavo senza meta, col viso in lacrime e senza speranza. Le luci della città mi accolsero, il tramonto stava lasciando il posto alla notte. Presi a camminare sullo stradone, quando una macchina mi si affiancò. Sobbalzai alla frenata e mi volsi verso il conducente: un uomo non più giovane, dall’aspetto rassicurante, che mi chiese:
“Quanto vuoi?”
Stupita dapprima e dopo indignata, stavo per rispondergli in malo modo, ma mi trattenni pensando: “Dove vado stanotte, non ho soldi, non conosco nessuno qui”. Mi aveva scambiata per una puttana, bene, avrei fatto la puttana, così gli rispose:
“200 euro”. Sapevo che era una cifra altissima,
ma dovevo vendermi bene: ero giovane e bella, i 200 euro erano meritati! L’uomo non obiettò anzi aggiunse:
“Per questa cifra mi spettano almeno due ore ed in albergo. Non temere, lo pago io”. Una volta in macchina continuò a parlarmi:
“Si vede che sei forestiera e disorientata, perciò ti ho proposto un albergo. Io sono un cliente abituale e bazzico lo stradone da tanto e non ho mai visto una bellezza come la tua. Stai tranquilla, non ti farò del male”.
Attraversammo la città e ci fermarono all’Hotel Destiny.
“Destiny, stanotte si profila il mio destino, a quanto pare”, mi dissi e seguii l’uomo che si era avviato alla Reception. Era alto e magro, vestito bene. Alla luce dei lampadari vidi che aveva un viso non bello, ma simpatico e solare. Con un sorriso mi accompagnò alla scala che ci avrebbe condotti al primo piano, stanza 119. Ero svuotata e triste, non riuscivo a sorridere a quel signore educato e gentile.
“Devo cercare di essere garbata anch’io, questi 200 euro mi servono per cercare di sopravvivere qualche giorno” pensai.
Entrammo nella stanza, pulita e profumata e Omar, questo il nome dell’uomo, mi disse:
“Se vuoi andare in bagno a rinfrescarti fallo. Io ti aspetto qui”.
Mi diressi verso la stanza da bagno con lo spirito dell’agnello che sa di essere sacrificato. Lo specchio rifletteva l’immagine di due laghi azzurri, senza speranza. “Mi devo riscuotere”, assunsi una postura più eretta, sciacquai il viso, misi un po’ di acqua di colonia contenuta in una boccetta sulla mensola: aveva un gradevole e sottile profumo di gelsomino, sensuale e poco invadente. Lavai i denti e, indossato il mio sorriso migliore, uscii dirigendomi verso l’uomo.............................................
Dalla raccolta "Vi racconto"
Nota introduttiva
Questo libro rappresenta una raccolta di tutto il lavoro da me svolto, in qualità di critico letterario e saggista, dal lontano 1992 ad oggi. Come un comune brogliaccio raccoglie impressioni, emozioni da me provate in qualità di lettore di opere diverse, a me presentate dagli ideatori e redattori di riviste letterarie italiane, quali: “La Procellaria” del Prof. Francesco Fiumara; “Calabria Sconosciuta” di Giuseppe Polimeni; “La Nuova Tribuna Letteraria” di Giacomo Luzzagni e la “Gazzetta di Baruccana” di Marco Berto.
Pertanto si potranno leggere saggi brevi e recensioni critiche, relative ai testi da me commentati. Non solo. La mia attività mi ha vista impegnata anche dal lato delle prefazioni e presentazioni di numerosi testi che mi sono stati sottoposti e dei quali mi sono occupata di buon grado.
Un lavoro affascinante per me, che nasco poeta ed in seguito mi affaccio alla narrativa. Leggere è penetrare la mente e l’anima dello scrittore, sia esso poeta o narratore. È entrare in empatia con la parola che è in grado di suscitare inenarrabili sensazioni, nel bene e nel male.
Come un vascello che non conosce approdo, la parola sfida venti e correnti e con essi intesse relazioni profonde ed a volte oscure. Essa vibra di una propria armonia che sfugge ad un orecchio poco attento, è permeata di luce e d’ombra e, come in un gioco alchemico misterioso, conduce sia lo scrittore che il lettore in mondi nuovi, tutti da esplorare. La parola è liberazione e dannazione, leggerezza ed ossessione, vita per chi crede in lei. Questa raccolta, quindi, è la summa del mio impegno preso con altri autori, dei quali ho cercato di cogliere l’essenza più intima. Un modo atipico di intrecciare legami con persone, più o meno conosciute, delle quali, dopo avere chiuso il libro appena letto, si ha l’impressione di essere venuti a contatto con una parte profonda della loro essenza.
Tutti gli scritti sono trascritti in ordine cronologico inverso a partire dal più recente e andando a ritroso nel tempo.
Esergo
L’Italia è il paese di “santi,
poeti e navigatori”, così si dice.
Poco interessata alla santità, vi parlerò di
poeti e navigatori, giacché i poeti
rappresentano i navigatori dello spirito
e i fustigatori del costume di un popolo.
Annamaria Barreca Risvolti umani di una vita disumana Quando ci incontrammo io e Lorenzo Calogero? La mia mano corse a lui dapprima cautamente, poi impaziente di sapere, rovistare, dentro la sua giacca, dentro i pantaloni, dentro il cassetto semichiuso di quel tavolino di legno vecchio che puzzava di stantio e che racchiudeva i segreti più inconfessabili, dentro la sua cassa toracica, dentro la sua testa. Proprio in quest’ultima la mia determinazione a sapere vacillò. Non riuscivo a cogliere alcun nesso logico, rincorrevo pensieri consumati, erosi, dall’inconfessabile certezza della sua diversità. Lorenzo era unico, enormemente unico nella sua smania di proporsi, di accattivare anche solo l’attenzione di quei grandi nomi: Einaudi, Vallecchi, Betocchi ed il suo cervello ruminava la voglia di dire quanto egli fosse bravo, quanto egli studiasse, quanto egli scrivesse. Migliaia di versi, tragici, al confine con la normalità, sicuri di una bellezza insopprimibile, non riconosciuta. Lorenzo era ed è, adesso lo sa, il mio “caso letterario” più affascinante e non mi riferisco al suo aspetto fisico perché Mamma Natura si era in parte divertita con lui: il capo appena storto a destra, le mani piccole, grassocce, madide di un madore nervoso che gli faceva tenere sempre a portata di mano un fazzoletto cincischiato, maleodorante; gli occhi miopi sotto le spesse lenti, il corpo tozzo e lievemente pingue, le labbra atteggiate ad una smorfia. Di normale aveva solo il naso. In che cosa risiede, allora, il fascino di quest’ometto non proprio ideale? Nel cervello, potrebbe dire qualcuno, se non fosse che per me il cervello è solo un ammasso di tessuti mollicci attraversati da un’energia spaventosa. Si potrebbe opinare allora per il suo cuore, un muscolo pulsante ad un ritmo vertiginoso, tenuto a bada da sedativi compassionevoli. La mente, l’anima, lo spirito: questa la sede del suo mistero e del suo fascino. Una mente divisa tra reale ed immaginario al punto da confonderlo, una mente capace di produrre versi a velocità incontrollabile, schizofrenica ed angosciata, ma fertile in modo ossessivo, rapace delle sue stesse emozioni che venivano snaturate, ridotte, a volte in versicoli subito ripudiati… Quei versicoli erano il marchio della sua impotenza, non gli bastava dirsi: “Lorenzo è umano”. Egli rifiutava la sua umanità: era Lorenzo Calogero per Dio! No, nemmeno questo poteva dirsi, perché Dio lo avrebbe castigato, come soleva ripetergli la madre, e lo avrebbe dannato in eterno. Doveva subire: subire se stesso, la sua incapacità di affrontare le difficoltà, la sua natura ipocondriaca che lo portava ad isolarsi, a comunicare in modo frammentato, atterrito da tutto e da tutti. Eppure avrebbe voluto gridare al mondo intero la sua gioia di essere vivo, la sua fierezza di essere calabrese, quando essere calabresi era scomodo e difficile ( ben lo sapeva Franco Costabile ), avrebbe voluto vivere l’ebbrezza di un incontro d’amore, la passione repressa, sopita dalla paura di un ennesimo fallimento che gli avrebbe torto l’anima sino all’ultima goccia di umori. Quella sua anima mistica e carnale ad un tempo, capace di condurlo oltre l’umano, in una dimensione irreale e surreale nota solo ad intelletti geniali consci di ciò. Lorenzo non aveva una grande stima di sé come uomo, sapeva benissimo, invece, di essere unico nell’arte di poetare, per cui viveva una vita divisa che alitava bagliori crepuscolari, albe fantastiche, cuori di donne innamorate, in attesa, emorroidi infiammate, una tosse stizzosa, da tisico, una fiacchezza ancestrale, la pelle arrossata da macchie eritematose, pruriginose. Lorenzo viveva fuori e dentro di se con paranoica rassegnazione, con rabbia celata che lo faceva atteggiare a vittima per stimolare la compassione. La compassione… se solo fosse riuscito a stimolarla veramente! La sua pateticità dignitosa non bastava. Le donne, dopo qualche tempo, lo allontanavano: quel suo compiangersi urtava la necessità di ognuna di loro che avrebbe voluto trovare nel proprio compagno un sostegno, una protezione, una spalla su cui piangere, una presenza cui affidarsi. Ma questa era la stessa necessità avvertita da Lorenzo: il sostegno, la protezione, la spalla su cui piangere, la presenza affidabile. Tutto allora si scompaginava rendendolo ancora più fragile ed inerme. Erano altri tempi Lorenzo: se solo tu avessi spostato in avanti il tuo arrivo su questo pianeta. Sarebbero bastati cinquant’anni, non ti saresti scontrato con quella realtà, avresti vissuto le donne di oggi che cercano proprio quello che cercavi tu: un compagno un figlio da poter governare, strapazzare al bisogno, coccolare, abbandonare per qualche tempo salvo poi ripescare con rinnovato entusiasmo. Le tue donne erano le donne antiche legate al proprio ruolo, al proprio destino, talvolta condiviso, più spesso subito ed in quella realtà tu stridevi. “Sono stanco, stanco di sentirmi rivoltare come un portafoglio consunto e vuoto”. Stanco di sentirti parlare addosso, vorresti tornare nell’ombra che ti sei cercato, in quel silenzio beato, le tue voci lontane. In verità Lorenzo, ancora non hai abbandonato la tua natura! Volevi la fama, l’hai avuta, hai avuto i riconoscimenti dovuti alla tua poesia, letterati e critici si sono, infine, occupati di te e se ne stanno ancora occupando: Milano, Roma, Firenze, ti tributano il piacere di annoverarti tra i grandi della letteratura italiana. “È troppo tardi”. No! Non è mai tardi per chi, come te vive e muore della sua arte. Non è mai tardi, a meno che tu non voglia riferirti alla tua natura umana, quella natura che ancora adesso non hai accettato. Ti vedo raggomitolato su te stesso, quasi contorto, percepisco l’alitare della tua insoddisfazione post-mortem, del tuo rantolare sterile, lontano da quel mondo tanto amato ed odiato e mi rendo conto che nulla è successo a caso: te ne sei andato quando io ero incapace di cogliere i bagliori della tua arte, sei ritornato adesso che la mia anima ed il mio cuore sono aperti al tuo messaggio, zufolato tra le note delle tue parole, delle tue illusioni. “Ma, vedi, sono costretto /anch’io / e ai piedi, umile, è una tomba / e quando spira vento autunnale / sono vento anch’io”. Saggio breve inedito. Le frasi riportate sono l’immaginario dialogo tra il poeta e me. I versi in chiusura sono tratti da una poesia di Lorenzo Calogero che fa parte de “I quaderni di Villa Nuccia”- XVI – 1959/60
Riflessione tratta dal libro
"Pensieri controvento in cerca di cervelli
in cui sostare".
142
Il mondo è per pochi uomini liberi. La libertà vera intimidisce, intimorisce. Vivere sotto la protezione di una bandiera – sia essa Dio, un qualsivoglia credo politico sino ad arrivare al becero profitto – rassicura, si è certi di non essere soli, per cui ci si sente più forti. La libertà, quella vera, è per pochi coraggiosi, che non hanno timore della solitudine, che rivendicano il diritto alla parola libera anche se scomoda e inquietante. Il mondo odierno tende a ghettizzare gli uomini liberi, perché sfuggono al controllo, così li demonizza e, se gli è dato, li neutralizza. Il mondo ambisce a un esercito di pseudo-lobotomizzati. Il mondo... che poi sono i potenti di ogni latitudine, veri scempi sotto il riflettore, vogliosi impotenti nascosti dietro maschere siliconate.
"Il taccuino della signora"
Una raccolta che nasce come taccuino e registra, giorno dopo giorno, le sensazioni dell'autrice.
La data iniziale del taccuino è il 26 dicembre del 2020, l'ultimo componimento, invece, risale al 30 settembre del 2021. Nove mesi, una vera e propria gestazione, del periodo Covid.
16 aprile 2021
Qui dove la bellezza impera
colgo tracce di sentimenti
fruscii di essenze
La vita esige oltre la morte
il bisogno di esistere
Aromi delicati
candide mousse
mani sapienti
colori che ingannano il tempo
La fabbrica dell'effimero
miete vittime giornaliere
e regala attimi d'illusione
25 aprile 2021
Fragile essenza
delle mie certezze
si affianca al passo incerto
e al verbo scarno
Tutto s'adombra e
il ricordare sfianca
da
"Pensieri controvento..."
145
L’utopia d’un mondo nuovo, la ricerca dell’Eden, come condizione futuribile, non è poi così lontana. Il paradiso terrestre è qualcosa che appartiene a questo mondo. Infiniti universi, che ognuno di noi conserva gelosamente, attendono di essere rivelati a coloro che non ne sono coscienti. È necessario tornare a cercare l’uomo vecchio, che alberga in ogni essere umano e sostituirlo con l’uomo nuovo, che non necessariamente deve essere agli antipodi. Il cammino è lungo e gravoso. Spesso dolente, porta a vivere una condizione sospesa tra più verità, più opportunità, più scelte. Noi siamo i responsabili della nostra esistenza, l’istituto delle deleghe prima o poi presenta il rendiconto.
dal volume
"Il taccuino della signora"
tratta dalla raccolta
"Un ombrello pieno di pioggia"
20 aprile 2021
Sorseggio attimi di vita
lieta di poterli saggiare
Il giorno si dipana
come matassa maculata
Il colore rasserena la mente
al suono di musiche
angeliche
La sera è presto giunta
il corpo stanco si prepara
al riposo notturno
mentre vagheggia il sogno
24 aprile 2021
Filamenti d’idee
compongono un
pentagramma
che fatica ad
essere compreso
Gli strumenti usurati
dal tempo e dalla noia
s’avvitano su se stessi
Sculture atipiche
in cerca di sostegni
Ho bisogno di nuvole
di fonti chiare
di risa di bimbi
Il respiro corto si espande
Sono nata dall'acqua
nella terra della Fata Morgana
il sole ha salutato il mio vagito
e con me quello dei miei fratelli
Ho respirato la salsedine
e l'eucalipto
ho percorso i sentieri
dell'Aspromonte
boschivi e scoscesi
mi sono fatta fiume
copioso
irruente
infido
Sono scesa a valle
nelle fiumare aride e pietrose
le ho irrorate col mio seme
cercando la mia strada
il mio mare
La mia è una foce ad estuario
che dà vita ai canneti
Mi sono tinta di bianca rena
ho lisciato i fianchi
di barche voluttuose
arenate al sole di marzo
sino ad annegare
nelle salse acque ionie
che hanno stemperato
la mia dolcezza
Ma nulla è per sempre...
Un carretto
il mio mondo con esso
nuove strade da percorrere
nuove stazioni da raggiungere
Oggi respiro brezze alpine
mordo neve e nebbia
mentre la penna racconta di me
di noi
vecchia razza in estinzione
ancora legata a un vagito
a un sorriso a un saluto
tratta dall'antologia
"Gli anni immobili"
tratta dall'antologia
"Gli anni immobili"
Riprende quota
l'aquilone dissennato.
Ora incalza e sibila il vento.
Umano il lamento
apre chiude battenti.
Rimbalzano risposte oniriche:
un dritto un rovescio
nell'oscura partita avanza
in linea retta il cavallo
allunga le redini l'alfiere
è presto raggiunta la torre.
Carezza mura moleste
la scala serpiginosa.
Stanca di fare paura
fantasma mi rifugio...
Neonato il sole gioca tra
merli sdentati.
Memorie
Pagine già lette
di vecchie confuse storie.
Ciabatte lasciate
s'un tappeto di logora pelle.
***
Donna a metà
Conflittualmente divisa
più volte avrei voluto rinascere
eppure questa mia poesia
cade nella contraddizione
nell'ambiguità.
Mi rileggo nelle note
romantiche sentimentali
di fattezze femminee
e mi rinnego
per la mancanza di forza
di virilità
per il mio essere donna a metà.
tratta dal libro
"Le quattro madri"
tratta dall'antologia
"Gli anni immobili"
Non lo spaventava morire, sapeva che sarebbe ritornato alla casa del Padre, tuttavia la vita lo teneva ancora stretto a sé attraverso il flusso dei ricordi che lo attraversava quotidianamente, facendogli rivivere momenti drammatici che credeva rimossi.
Il mese di dicembre era giunto, con un altro inverno freddo ed umido. Era il mese che amava di più perché l’otto era nata la Madonnina a cui era legato profondamente. Maria era la sua invocazione costante…
Quante madri aveva incontrato nella sua vita pastorale?
Quante ne aveva confessate? Forse migliaia…
Perché allora nella sua mente ritornavano quattro figure che lo avevano turbato e delle quali avrebbe avuto sempre un ricordo vivido: ”le quattro Marie”, così le aveva battezzate dentro di sé.
Erano donne che aveva confessato in punto di morte, quattro vite emblematiche che avevano arricchito la sua missione e la sua umanità. Quando e dove aveva conosciuto la prima?
La stanchezza aveva, talvolta, il sopravvento sulla sua mente, che invece voleva andare a ritroso per riappropriarsi ancora di vita, di quella vita che adesso gli era sottratta dalla malattia. I ricordi erano medicina spirituale e le sue “ sorelle”, vero e proprio alimento per l’anima.
edito da Laruffa ed oggi disponibile in versione ebook su tutti i più noti book stores online
I
Costruì il suo castello
senza torrione nè ponte levatoio.
Nelle notti di plenilunio
l'orda di locuste feroce
s'abbattè, tutto devastando.
Mercenari guadarono lo stagno
difeso da caimani assonnati,
pietra dopo pietra
il maniero rovinò.
Divenuto sparviero colse
cirri fumanti
urlò e la vallata s'empì del suo
stridore che piovve sul borgo
poi l'ali spiegate
si tuffò nel sole dissolvendosi.
II
Lasciò cadere il cielo
un cinereo pulviscolo
qualche fiocco di piume sulla
madia ove con allegra imperizia
la garzoncella sfaccendava.
S'intenerì al lieve tocco
colse nel pugno i bioccoli
v'alitò...
Ricomposte l'ali il rapace
turbinò gioioso infine fu tremore.
Franto sulla volta cristallina
fu inghiottito dal fondovalle.
Le braccia al petto
la garzoncella osservò senza
apprensione
il corpo mutilato dell'uccello.
III
Giacque, occhi vitrei all'azzurro.
Mani dolenti sollevarono
piume scomposte
insieme trascesero l'umano...
Flautò femmina viziosa
il suo nome
cadde nel vuoto il richiamo.
dal volume
"Il taccuino della signora"
14 maggio 2021
Cieli grigi attraversati
da carovane di nubi cangevoli
nei colori e nelle forme
Quattordici maggio
i rondoni hanno preso
a nidificare
tra le anse dei grattacieli
Il bosco verticale verdeggia
su giovani gerani
dai colori variegati
L’inverno ha ceduto
il passo malcerto ad
una primavera incarcerata
da anticicloni bizzarri
Prima o poi arriverà l’estate
con la sua ostentata
spudoratezza
e la disinibita voglia d’amare
tra la barche sonnolenti
sulla risacca che lambisce la rena
abbandonati ai flutti complici
Le sere interminabili
vedranno sorgere l’aurora
mentre labbra sapide
si disseteranno ad un ultimo bacio